Meraviglie del nostro mare: i ricci




Sul fondale, tra gli scogli o in parete i ricci di mare, nelle loro differenti sottospecie, popolano la gran parte dei mari e, dunque, anche il nostro meraviglioso Basso Tirreno. Li incontreremo ovunque durante le soste delle nostre escursioni a Lipari, Vulcano, Panarea, Stromboli, Alicudi, Filicudi e nel giro dell’isola di Salina.
I ricci fanno parte della classe degli Echinoidea, il loro corpo ha una simmetria pentaraggiata (la larva è però bilaterale) e sono ermafroditi. Sono creature bentoniche presenti sulla Terra fino dal Cambriano inferiore, 540 milioni di anni fa, come testimoniano gli esoscheletri fossili giunti fino a noi. Si nutrono, in particolare di notte, di alghe – foglie di Posidonia oceanica compresa – piccoli animali e spugne e si spostano lentamente muovendo gli aculei.

E sono proprio questi a meritare attenzione. Camminando sugli scogli o facendo snorkeling badate bene a dove mettete piedi e mani. Se vi “pungete”, le spine sono fastidiosissime – oltre al carbonato di calcio e al silicio contengono tracce di tossine – e complicate da estrarre. I sintomi variano in base alla sensibilità individuale, al grado di penetrazione e al tipo di riccio ma in genere il dolore aumenta per qualche ora (o più se la spina rimane infissa) con gonfiore e arrossamento dell’area circostante.
Nel caso, lavate la parte colpita e con pazienza e pinzette mettetevi all’opera senza irritare ulteriormente la cute (sapone o oli detergenti possono agevolare ed esistono in commercio prodotti dedicati). La tossina è termolabile e quindi l’acqua calda è d’aiuto così come l’aceto, che a impacco attraverso un panno o per immersione, aiuta a sciogliere il calcio delle spine. Di positivo c’è che in genere i residui si riassorbono o vengono espulsi spontaneamente in un paio di settimane.

Nel nostro mare, il Paracentrotus lividus è certo il riccio più noto, del quale si mangiano le cosiddette “uova”, che in realtà sono le gonadi. Essendo ermafroditi, a seconda della fase del ciclo di vita sarà possibile trovare animali più o meno “pieni”. Non è facile distinguere il Paracentrotus lividus da altre specie non commestibili come, per esempio, l’Arbacia lixula, che occupa lo stesso habitat e quindi, prima di fare una strage senza senso, lasciate fare a chi se ne intende. Il comandante Angelo e tutto lo staff della motonave Glentor sapranno darvi sempre le dritte giuste. Quindi chiedete. Sarà un piacere accompagnarvi alla scoperta del nostro mare così come delle creature che lo popolano.

Oltre a saltare il pasto e avere ucciso delle bellissime creature inutilmente, improvvisarsi pescatori potrebbe, in alcuni periodi, portare anche ad altre conseguenze. Il fermo biologico riguardo la pesca dei ricci di mare – reso indispensabile a causa dell’eccessivo prelievo di questi echinodermi effettuato negli decenni passati – è stabilito per legge dall’articolo 4 del Decreto Ministeriale del 12 gennaio 1995. In Sicilia il provvedimento copre il periodo compreso tra il primo maggio e il 30 giugno inclusi, momento di riproduzione della specie. In questo lasso di tempo, non solamente è vietato pescare i ricci ma anche detenerli, trasbordarli, sbarcarli, trasportarli e commercializzarli a prescindere dal loro stadio di crescita.

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